Carpe diem, quam minimum credula postero, è la frase utilizzata da Quinti Orazio Flacco nella Carmina (Odi 1, 11, 8 - in latino), un opera costituite da 103 poesie (scritte a partire dal 30 a.c.) raccolte in quattro libri, il cui modello è quello della grande poesia greca di età arcaica.
Il primo libro contiene 38 poesie, il secondo 20, il terzo 30 e il quarto 15, i primi tre libri furono pubblicati nel 731 ab Urbe condita (23 a.C.), il quarto nel 741 (13 a.C.).
Nel Primo libro, troviamo la ode numero 11, quella in cui troviamo la frase celebre, in questo carma, si narra dell’inverno e del ”vento furioso” che si sente fischiare all’esterno del tepore di una stanza ben riparata, il poeta che è in compagnia di Leuconoe (la fanciulla "dagl’ingenui pensieri" ), si godono il loro momento d'intimità. La ragazza per passare il tempo, si dedica a calcoli astrologici per sapere se essi vivranno a lungo, mentre il consiglio dato dal poeta è quello di bere e godersi il presente, che è un attimo che non rivivranno mai più; da qui nasce l’espressione che ha reso celebre l’ode: “carpe diem”.
IL POETA SCRIVE:
Tu non chiedere, è vietato sapere, quale fine a me, quale a te gli dei abbiano assegnato, o Leuconoe, e non consultare la cabala babilonese.
Quanto è meglio, qualsiasi cosa sarà, accettarla! Sia che Giove abbia assegnato più inverni, sia che abbia assegnato come ultimo quello che ora sfianca con le scogliere di pomice che gli si oppongono il mare Tirreno, sii saggia:
filtra il vino e ad una breve scadenza limita la lunga speranza. Mentre parliamo sarà fuggito, inesorabile, il tempo:
cogli il giorno, il meno possibile fiduciosa in quello successivo.
IL CONCETTO:
La frase è traducibile in "afferra il giorno", ma resa con "cogli l'attimo", traduzione non letterale ma ugualmente efficace a trasmettere il concetto che le parole latine volevano esprimere. Viene di norma citata in questa forma abbreviata, anche se sarebbe opportuno completarla con il seguito del verso oraziano: "quam minimum credula postero" ("confidando nel / affidandoti il meno possibile al domani"). È un invito a godere ogni giorno dei beni offerti dalla vita, dato che il futuro non è prevedibile, da intendersi non come invito alla ricerca del piacere, ma ad apprezzare ciò che si ha. Si tratta non solo di una delle più celebri poesie della latinità, ma anche di una delle filosofie di vita più influenti della storia, nonché di una delle più fraintese, nella quale Orazio fece confluire la sua potenza lirica. questo breve componimento, si presenta come un profondo avvertimento del poeta al lettore, qui la fanciulla Leuconoe, sulla natura della vita secondo i precetti della morale epicurea e della teoria del piacere.
Annalina Grasso, Giornalista e blogger campana, dice:
.. E alla fine dei conti, se ciascuno saprà cogliere il frutto dei suoi giorni, coltivandoli con intensità nella quotidianità senza rimandare ad un domani perennemente incerto, potrà dire anche lui:
non omnis morirar (non tutto di me morirà), nel ricordo che si tramanda nel tempo grazie ai frutti di una vita davvero “compiuta” che verranno, di generazione in generazione, raccolti.