Nell’Italia preunitaria il Regno delle Due Sicilie era di gran lunga lo Stato più esteso e popoloso della penisola. Oltre la Sicilia esso comprendeva tutta l’Italia continentale meridionale dalla punta della Calabria fino a poche decine di chilometri da Roma, mentre sul fronte adriatico, giungeva nei pressi di Ascoli, alla sua grandezza, però, non corrispose una forza politica tale da farla assumere un ruolo attivo nel processo che doveva portare all’Unità.
Tale debolezza politica ovviamente non riguardava l’aspetto economico o di arretratezza del popolo e dei governanti, come alcuni testi storici hanno voluto evidenziare, magari solo per la necessità, di conferire al nuovo Stato italiano una solida base etica, portando a privilegiare ed esaltare l’elemento più “romantico” del Risorgimento, infatti, il nuovo regno Borbonico visse un periodo di grande benessere, grazie a tasse inferiori, Beni demaniali ed ecclesiastici, debito pubblico irrisorio (quattro volte inferiore a quello del Piemonte) e moneta metallica circolante di quasi il doppio di quella degli altri stati d’Italia.
La debolezza stava soprattutto nella contrapposizione dei due poli del Regno, la Sicilia e l’antico regno di Napoli, che nonostante fossero riuniti già dal 1130 ad opera di Ruggero II dei normanni, in realtà non furono mai governati come unico territorio, ma suddivisi In due parte il Regnum Siciliae citra Pharum (Regno di Napoli)da una parte e dall’altra il Regnum Siciliae ultra Pharum (Regno di Sicilia), fino alla vera riunificazione del regno nel 1816, ad opera di Ferdinando II, che raggruppò sotto un'unica autonomia i due regni.
Tale riunificazione non fu mai accettata dalla Sicilia che non si sentiva subordinata a Napoli, inoltre
le soppressione d'ogni forma d'autonomia con l'annullamento della costituzione in Sicilia, e le forti repressione, unite a dicerie, come la credenza che l'alta mortalità del colera, indotta da misteriosi emissari del Re. Portarono una costante tensione punteggiata di lamentele, proteste e ribellioni in tutto il regno, negli anni 37, 48, 53 e 56.
Ad incendiare ancor di più i rivoltosi furono anche le idee nate da Camilla Benso, Conte di Cavur, e Mazzini, che animarono la popolazione in tutta l'Italia, infine l’annessione della Toscana, ed Emilia Romagna al Piemonte, spianò la strada alla spedizione dei mille.
LA RIFORMA AGRARIA
Dopo lo sbarco di Garibaldi, e assunta la dittatura dell'isola in nome di Vittorio Emanuele II, ad Alcamo nel 1860, Garibaldi, abolì l'imposta sul macinato (numero di giri del mulino) e procedette alla divisione delle terre demaniali, assegnò a sorte i terreni e promise di voler procedere ad una riforma del latifondo.
L'abile mossa del generale attirò a sé le masse contadine dei "picciotti" a combattere contro il forte esercito borbonico di Francesco II a Calatafimi. Proprio da questa vittoria nasce il mito dell'invincibilità di Garibaldi che proseguì la sua marcia verso Nord, senza più incontrare gravi difficoltà.
LA RIVOLTA, BRONTE 1860
Appare evidente che nel momento di grandi tensioni dovuto alla mancata assegnazione delle terre a favore dei contadini siciliani, Garibaldi invio nell’isola il suo generale Bixio, che senza mezzi termini sacrificò la giustizia all’ordine. O meglio, subordinò la giustizia all’obiettivo di mantenere l’ordine pubblico in un momento in cui, secondo lui, le esigenze militari precedevano quelle socio-politiche. Il generale garibaldino “giustiziò” (ma qui il termine dovrebbe essere assassinò degli innocenti), evidentemente lasciando liberi i veri colpevoli dei massacri di una rivolta particolarmente violenta e complessa nelle sue motivazioni e intenzioni. Così facendo ristabilì l’ordine, ma compromettendo la fiducia in un cambiamento e quindi i successivi sviluppi del rapporto tra Sicilia e sud con lo Stato unitario.
Per lunghi anni la Sicilia fu teatro di una vera e propria guerra civile. Con la scusa della lotta al “brigantaggio” la repressione operata dai generali casa Savoia fu terribile.
dopo la rivolta di Palermo del 1866 (La rivolta del Sette e mezzo) raggiunse un dramma epocale con la tragedia della soppressione dei Fasci siciliani (la prima rivoluzione socialista in Sicilia a scala regionale) dei primi anni del 1890.
Tomasi di Lampedusa: “Perché tutto rimanga com'è bisogna che tutto cambi”.